Angelo Maria Maffucci

Nato a Calitri il 17 ottobre 1847, seguì gli studi di medicina a Napoli, dove si laureò nel 1872.

Nel 1873, come sanitario comunale, a Napoli ebbe occasione di farsi largo nell’opinione pubblica prendendo parte alla campagna contro il colera che gli fruttò la medaglia di benemerenza di 1° grado e gli aprì le porte dell’Istituto di Anatomia Patologica, diretto dal prof. Schron.

Man mano divenne noto in Italia e fuori, specialmente per le sue ricerche sulla pustola maligna, sulla sifilide ereditaria, sulla patologia epatica e sull’assorbimento del peritoneo. Nel 1884 passo all’Università di Pisa dove iniziò gli studi che gli hanno dato maggiore fama.

A partire dal 1889, impressionato dall’alto numero di vite umane che mieteva la tubercolosi, si dedicò con tutto le sue forze allo studio dei bacilli tubercolari dandone un fondamentale contributo.

Nel X° Congresso Medico Internazionale di Berlino (1890) l’unico nome di sperimentatore, che non fosse tedesco, pronunciato da R. Koch, fu quello di Maffucci, grazie alla prima comunicazione ch’egli fece sulla scoperta della tubercolina.

Per quanto assorbito dalle ricerche sulla tubercolosi, il Maffucci non trascurò altri studi e nel 1898 pubblicò una ricerca sulla “Patologia della cauda equina e del cono terminale” che gli valse le congratulazioni dei più grandi scienziati, tra i quali il Koch.

I risultati delle sue ricerche errano attesi da tutto il mondo scientifico, e le sue pubblicazioni erano tradotte in varie lingue estere. Al Maffucci si deve il merito della dottrina sull’eredoimmunità della tubercolosi (i discendenti di tubercolotici presentano una resistenza maggiore al contagio).

Morì a Pisa il 24 novembre 1903, lasciando a favore dell’Università una grossa somma da utilizzare per una borsa biennale di studi di perfezionamento in Anatomia Patologica. Dei suoi studi restano ben 61 pubblicazioni in lingua italiana ed estera.

Il 12 ottobre 1922, in memoria del Maffucci, fu posta sulla facciata principale del municipio un’artistica targa marmorea sormontata dalla sua effigie in bronzo.

Disse di lui il prof. Tito Carbone “la nostra mente s’inchina dinanzi a tale documento dell’impegno e dell’attività di A.M. Maffucci riverente e quasi incredula che una simile congerie di fatti, esperimenti delicati e faticosi di deduzioni logiche rigorose possa essere opera di un solo lavoratore“.